Bologna, 26 agosto 2017 – Rodrigo Pessoa è brasiliano, è nato in Francia il 29 novembre 1972, vive tra il Belgio e gli Stati Uniti, parla il francese, l’inglese, il tedesco, il portoghese e l’italiano e lo spagnolo (forse anche l’olandese), è stato uno dei giovani cavalieri più impressionanti al debutto agonistico, ha vinto la medaglia d’oro individuale alle Olimpiadi (2004) e al Campionato del Mondo (1998), ha vinto per tre anni consecutivi la finale della Coppa del Mondo (1998, 1999, 2000), ha vinto due volte la finale della Top-10 (2003 e 2005), ha vinto tutti i Gran Premi più importanti del pianeta (Aquisgrana, Calgary, Ginevra, Roma, Parigi, Rotterdam compresi). Molti dei suoi straordinari successi di cavaliere Rodrigo Pessoa li ha conquistati in sella allo stallone francese Baloubet du Rouet: la morte del quale è stata annunciata solo qualche giorno fa. Un momento triste e doloroso per Rodrigo, come sempre quando un cavaliere perde un compagno con il quale ha condiviso momenti di vita e di sport indimenticabili.
Dentro Rodrigo Pessoa c’è la storia di Nelson Pessoa, suo padre, una delle leggende viventi del salto ostacoli mondiale, il primo americano (sia del nord sia del sud) a trasferirsi in Europa stabilmente per divenire cavaliere professionista, per trasformarsi in seguito insieme allo statunitense George Morris – e prima dell’olandese Henk Nooren – nel più grande trainer del mondo. Nelson Pessoa ovviamente è il creatore di Rodrigo in tutti i sensi, ma una volta in un’intervista ha detto: «Rodrigo però ha fatto molto da solo: è un uomo intelligente, che va sempre dritto al cuore dei problemi, che affronta le situazioni sempre in linea retta. È diventato un campione perché è un campione: io ho soltanto cercato di fargli percorrere la strada più semplice possibile».
Rodrigo Pessoa ha solo 45 anni e dentro di lui c’è quello che nemmeno la vita di dieci uomini riuscirebbe a contenere. Rodrigo Pessoa si è distinto fin da ragazzino non tanto per le sue doti favolose, quanto piuttosto per la sua insaziabile sete di conoscenza: lui guardava, leggeva, ascoltava tutto e tutti. In un’intervista di molti anni fa ha detto: «Bisogna sempre essere allievi: ogni giorno, ogni concorso, ogni singola gara. Fino all’ultimo giorno in cui avrò forza e voglia di montare io sarò un allievo. E penso che per tutti dovrebbe essere così. Il nostro è uno sport nel quale si perde molto più di quanto si vinca, quindi bisogna mantenere sempre quel grado di modestia sufficiente a farci imparare continuamente qualcosa in più e in meglio. Solo così si va avanti». Rodrigo leggeva i giornali sportivi e seguiva le trasmissioni sportive in modo diverso da come lo facevano i suoi coetanei: lui lo faceva per capire, non per gioire della vittoria di un suo beniamino o di una squadra. No. Lui lo faceva per comprendere quale fosse il meccanismo che stava dietro il successo. Automobilismo, calcio, atletica, tennis… tutto. Rodrigo ha sempre seguito tutti gli sport con l’attenzione e la profondità dello studioso, con la competenza dell’addetto ai lavori, con la perizia del sociologo e dello psicologo dello sport oltre che del tecnico e dell’atleta. Per trasferire più o meno consapevolmente tutto ciò ‘dentro’ il suo essere cavaliere. Un cavaliere impostato secondo i dettami dell’equitazione più bella e più classica ma animata dagli schemi della modernità più costantemente attuale.
Quando da giovane e perfino bambino Rodrigo andava in concorso con suo padre, la sua compagnia erano i colleghi cavalieri di Nelson, gente del calibro di David Broome, Michel Robert, Franke Sloothaak… Lui stava zitto e li ascoltava parlare, li guardava in campo prova, poi li seguiva in campo ostacoli. Con la sua faccia seria e con quegli occhi di brace. Talvolta può anche non risultare molto simpatico Rodrigo: perché lui va dritto verso i traguardi prefissati, senza deviazioni e digressioni. Non fa moine e salamelecchi. Quando parla dice poche cose, tiene lo sguardo vivo su tutto quello che sta succedendo mentre conversa, il che può anche farlo sembrare poco attento all’interlocutore: in realtà lui è attento a tutto, interlocutore compreso. Ma anche ad altro contemporaneamente.
Lo scorso marzo la federazione irlandese ha annunciato l’ingaggio di Rodrigo Pessoa nel ruolo di commissario tecnico della squadra nazionale di salto ostacoli. Una notizia che ha destato ovviamente una certa sorpresa, e molta curiosità. Rodrigo ha accettato la proposta perché le sfide gli piacciono e questa non l’aveva mai vissuta, sebbene spesso avesse svolto quasi lo stesso ruolo per la squadra brasiliana. E poi perché la sua carriera di cavaliere lo vedeva sprovvisto in quel momento di cavalli competitivi. E poi perché a lui lo sport piace da matti in tutte le sue forme e dimensioni: e questa… forma e dimensione rappresentava uno stimolo fortissimo. Appena formalizzato l’accordo, Rodrigo non ha fatto giri di parole, come suo costume: i cavalli ci sono, i cavalieri anche, ma l’Irlanda da troppo tempo non va sul podio dei campionati internazionali, bisogna lavorare per riuscirci, per capire perché, io spero di mettere al servizio dell’Irlanda la mia esperienza. Era il mese di marzo: adesso siamo alla fine di agosto e ieri l’Irlanda ha vinto il titolo di campione d’Europa. Grazie alle favolose prestazioni di quattro cavalieri (il povero Bertram Allen compreso: comunque si fa parte della squadra anche quando le cose non vanno bene) e cavalli. Certo. Ma è evidente l’importanza decisiva che ha avuto Rodrigo Pessoa in tutto questo: lui che sa parlare con tutti di tutto, lui che ha vissuto in sella tutto vincendo tutto, lui che ha assimilato la scienza del papà Nelson, lui che ha l’equitazione del mondo in mano, lui che dentro sé stesso miscela la natura brasiliana con quella nordeuropea (che coktail!), lui che il podio lo conosce come le sue tasche e sa benissimo quale sia il cammino da percorrere per arrivarvi, lui che sa perfettamente quali sono le motivazioni giuste che infiammano il cuore e la mente di un atleta. Lui che stava vivendo una fase un po’ opaca come cavaliere, lui che le fasi opache non le tollera, lui che non ha esitato a smettere di essere un cavaliere per diventare colui il quale i cavalieri li guida da terra. Ma continuando a fare quello che sa fare meglio: vincere!