Bologna, giovedì 8 aprile 2021 – Sono due, ma sembrano uno. Dove c’è lei c’è anche lui, e dove c’è lui c’è anche lei: fanno le stesse cose perché vivono le stesse cose. Stanno insieme perché sono insieme. Giulia Martinengo Marquet e Stefano Cesaretto sono moglie e marito, ma sono di più di una moglie e di un marito: il valore che esprimono uniti è superiore a quello della somma delle singole parti… Un valore di vita, ovviamente, dentro il quale è compreso anche quello sportivo. Certo, sportivamente parlando lei è più… visibile: perché va in campo e vince, perché la sua equitazione è meravigliosa, perché sulle liste dei risultati e sulle pagine dei giornali c’è il suo nome. Stefano Cesaretto (56 anni) agli occhi del grande pubblico è forse meno esposto e meno appariscente – anche perché lui è persona che proprio non ama l’apparire – ma chi vive dentro lo sport è perfettamente consapevole dell’importanza e della consistenza del suo ruolo: un uomo che prima ha vissuto il grande sport da cavaliere (un Campionato d’Europa e un Campionato del Mondo rispettivamente nel 1989 e nel 1990), poi a piedi come trainer, allenatore e organizzatore di una vera e propria squadra. La squadra che lui stesso forma insieme a lei: a Giulia Martinengo Marquet.
Dall’alto della sua esperienza di cavaliere prima e di trainer poi, dica sinceramente: chi è meglio in sella, Stefano Cesaretto o Giulia Martinengo Marquet?
«Non c’è il minimo dubbio: Giulia Martinengo Marquet. Anche perché se non fosse così probabilmente avrei continuato a montare… !».
E perché è migliore Giulia Martinengo Marquet?
«Beh, lei ha una qualità e un talento che di certo io non avevo. Io ho avuto la possibilità di costruirmi nel tempo grazie a ottimi istruttori come Graziano Mancinelli e Guido Dominici, poi anche all’aver lavorato con personaggi del calibro di Henk Nooren e Hans Horn. Tutte persone che mi hanno fatto imparare e crescere. Giulia invece è nata con un talento naturale: certamente anche lei è cresciuta ed è migliorata con il tempo, ma il suo talento c’era fin dal principio. Il tutto animato da una passione e dedizione assolute che si trasferiscono anche nel fisico: lei monta dieci cavalli al giorno e non si stanca… ».
Ma nel successo di Giulia quanto c’è di Stefano?
«Io credo che lei sarebbe stata ottima anche senza di me. Detto ciò, è pur vero che è sempre molto importante avere un istruttore, un compagno, un’organizzazione… cose che possono fare la differenza. Sicuramente io le ho trasferito l’esperienza che avevo maturato personalmente sui terreni di gara sia come cavaliere sia come istruttore: però per me è stato di certo più facile lavorare con lei che con chiunque altro, perché la sua qualità è sempre stata notevolissima».
Poi la questione non è solo tecnica, ma anche organizzativa…
«Ah sì, certo. Quando si è in due si dividono i ruoli: io spesso mi sono occupato delle relazioni con gli sponsor, della gestione della scuderia… Naturalmente Giulia è bravissima nell’organizzare quotidianamente i suoi cavalli e il lavoro con loro, però dietro a tutto questo ci sono tante piccole ma altrettanto importanti cose che proprio per questo non devono essere trascurate. Spesso la differenza la fa il dettaglio».
Tecnica e organizzazione: però tra di voi c’è una terza dimensione che di certo è la più importante, cioè il vostro rapporto d’amore, che rende il tutto tra l’altro molto romantico.
«Credo di poter dire che siamo stati bravi e fortunati: lavorare con il proprio compagno, moglie o marito che sia, non è scontato che sia facile, se però funziona è bellissimo. Ma ancora una volta devo riconoscere a Giulia un merito enorme: lei nell’esatto istante in cui monta in sella diventa un’allieva, si mette incondizionatamente a disposizione per imparare, migliorare, crescere. È sempre stato così ed è così ancora oggi. Questo ha fatto sì che il nostro rapporto sia sempre stato ottimo anche da questo punto di vista: lei accetta qualunque rilievo o suggerimento da parte mia, senza alcuna riserva. E io sono uno che non tiene dentro niente, per cui nei dieci minuti dopo la fine della sua gara tutto quello che devo dire lo dico. Poi però finisce tutto lì, e dopo quei dieci minuti il nostro rapporto riprende a essere quello di marito e moglie».
Quindi lo sport non influenza la relazione intima: ma può accadere il contrario? Cioè che una eventuale tensione nel rapporto di coppia possa condizionare lo sport?
«Nel nostro caso no, assolutamente. Noi abbiamo un rapporto splendido, molto raramente ci capita di dover discutere di qualcosa stando su posizioni diverse e questa armonia costante si è sempre riflettuta positivamente sullo sport. Forse dipende anche dal fatto che io trovo in Giulia e in quello che fa Giulia in sella ciò che a me manca dal momento in cui ho smesso di montare a cavallo, cioè la gara, l’impegno agonistico… Le emozioni e le tensioni che lei vive stando in sella le vivo anche io stando a piedi, identiche, ragiono sempre come se in gara lei fosse me e io fossi lei, come se fossimo una cosa unica: spesso mi capita di dire “domani montiamo” o perfino “io monto” riferendomi ovviamente a lei e ai cavalli che monta o monterà lei… Tutto questo ci ha permesso di superare qualche momento un po’ difficile, sportivamente parlando, contribuendo inoltre a cementare ulteriormente il nostro rapporto di coppia: sono più di vent’anni che stiamo insieme facendo lo sport di alto livello e andando sempre d’accordo sotto tutti i punti di vista… ».
Le persone che vi osservano dall’esterno percepiscono molto bene tutto ciò, vedono una storia meravigliosa di vita, di amore e di sport: lei è consapevole della considerazione altrui? La avverte?
«Beh, devo sinceramente dire di sì… E con uguale sincerità devo anche dire che sono fiero di quello che Giulia e io abbiamo costruito nel tempo, una relazione sentimentale che ha trasformato quello che poteva essere solo un hobby e una passione in una professione e in una carriera per entrambi. Chiaro, l’attrice principale è lei, ma dietro quello che si vede con maggiore evidenza lei e io siamo insieme. Quindi ogni tanto mi fermo e guardo il nostro cammino svolto fin qui: e mi sento felice di quello che abbiamo fatto e felice di come siamo».
Lo sport ha avuto un ruolo anche nella vostra decisione di sposarvi?
«Allora, devo essere sincero: è brutto dirlo da uomo separato con un primo matrimonio alle spalle, lo so, ma io ho sempre creduto nel valore della famiglia e della coppia. Per cui una volta sistemato il mio primo matrimonio… e ci tengo a dire che con la mia ex moglie, con il suo attuale marito e con i miei ex suoceri ho un rapporto bellissimo… dicevo, una volta sistemata quella situazione era giusto che la relazione tra Giulia e me arrivasse al matrimonio. Doveva essere così. Era troppo importante. Ma per venire alla domanda… direi di no, lo sport e la comune passione certamente ci hanno unito e ci uniscono sempre di più, ma la base di partenza è stato solo e soltanto un discorso di carattere sentimentale».
Però la prospettiva di unirsi nell’amore avendo anche un progetto comune come il vostro è qualcosa che tutte le coppie del mondo sognerebbero…
«Sicuro, anche perché Giulia e io viviamo ventiquattr’ore su ventiquattro insieme. Finché non è nata nostra figlia Bianca non c’era viaggio che io facessi all’estero senza Giulia. Adesso invece quando capita programmiamo l’andata e il ritorno in giornata perché non vogliamo che Bianca la sera stia senza di noi. Giulia e io viviamo letteralmente insieme: a casa, in scuderia, in concorso, in viaggio, in vacanza… stiamo sempre insieme. Mi rendo conto che la nostra è una vera e propria simbiosi. Anche nello sport: le sue emozioni sono le mie emozioni».
Ma è stato il rapporto con Giulia che l’ha indirizzata verso il ruolo di trainer a tutti gli effetti?
«Non esattamente. Anche quando montavo ho sempre avuto qualche ragazzo che lavorava con me. Poi nel 1998 quando è mancato mio padre, il quale è sempre stato il mio primo sponsor, ho dovuto rallentare il discorso agonistico in prima persona: mi sono reso conto che non sarebbe stato così facile sostenere lo sport da solo. Così è partito il discorso istruzione, anche perché a me è sempre piaciuto lavorare con i ragazzi. Ho vissuto anni in cui mi sono divertito moltissimo con allievi che facevano i campionati d’Europa juniores e young rider, ragazzi cresciuti con me e che mi hanno dato bellissime soddisfazioni. Poi è chiaro che quando è partito il discorso Giulia io ero spesso via con lei per cui sarebbe stato difficile gestire la carriera giovanile di un allievo junior o young rider, quindi per rispetto nei confronti dei clienti e degli allievi ho allentato molto il rapporto con loro. Anche se nei primi tempi in cui stavo con Giulia andavamo ad Arezzo per le prime edizioni del Toscana Tour partendo da casa con quarantacinque cavalli: Giulia ne montava tre o quattro, gli altri erano tutti di ragazzi che seguivo io… Comunque ancora oggi parecchie persone vengono in scuderia da me il martedì o il mercoledì: lavorano con me, poi caricano il loro cavallo in van e se ne tornano a casa».
Lei ha ricevuto una formazione equestre da personaggi straordinari… Graziano Mancinelli ha avuto un ruolo fondamentale però, giusto?
«Sì, certo. Lui è stato il mio primo istruttore importante. Un enorme uomo di cavalli. Io da ragazzo ho avuto la grandissima fortuna di poter viaggiare molto spesso insieme a lui per andare a vedere e provare e comprare cavalli in Francia, Belgio, Irlanda… Mio papà era molto disponibile e mi permetteva di vivere queste esperienze meravigliose. E formative, soprattutto: quei tanti giorni trascorsi al fianco di Graziano Mancinelli mi sono serviti per imparare a valutare i cavalli, cavalli giovani e meno giovani, una vera e propria scuola con un maestro d’eccezione».
Il secondo personaggio importante per lei è stato Guido Dominici.
«Gli sono affezionatissimo, nonostante ci abbia lasciato ormai da tempo… Con lui ho iniziato a lavorare che ero già abbastanza grande. Per un periodo Guido veniva a seguire me e mio cugino Massimo, poi si è anche trasferito da noi per alcuni anni. Lui per me è stata la chiave per comprendere il valore dell’istruzione: Guido sapeva perfettamente cosa volesse dire costruire un cavaliere a livello sportivo, dato che a sua volta aveva vissuto questa esperienza in prima persona, sulla propria pelle. Lui aveva… il metodo. Sapeva».
Intende dire costruire qualcuno che non ha un’innata predisposizione per essere un cavaliere ma che con il metodo arriva comunque a esserlo?
«Esatto. Prendiamo proprio il caso di Giulia. Lei ha un talento innato enorme per cui il lavoro da fare è indirizzare e gestire questo talento, dare due argini a un fiume che comunque scorre di suo. Ma spesso capita anche di lavorare con qualcuno che ha una estrema passione ma è privo di quell’ultima scintilla, di quell’ultimo pezzetto di risorse istintive e naturali: allora bisogna avere un sistema che permetta di far crescere anche il cavaliere privo dell’ultimo talento, il metodo appunto. Poi chi sta a terra deve avere anche un’altra bravura: saper individuare il cavallo giusto per il proprio cliente o allievo che sia. In questo Graziano Mancinelli era il numero uno indiscusso: lui sapeva creare il binomio come nessun altro. Come nessun altro… ».
Graziano Mancinelli è un personaggio chiave nella storia del nostro sport: non solo per quello che ha vinto, anche per quello che ha seminato in chi è venuto dopo di lui, proprio come nel suo caso.
«Sì, lui e Henk Nooren hanno dato una svolta al nostro sport. Chi è uscito dalla loro scuola magari non ha vinto tanto quanto i fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo, o Mancinelli stesso, però sono tutte persone che hanno contribuito a far sì che oggi in Italia ci sia un livello di equitazione altissimo».
Ecco, lei di questo è diretto testimone essendo impegnato continuamente all’estero e nei grandi concorsi internazionali: negli ultimi anni c’è stato un rifiorire non solo dei risultati ma soprattutto della qualità della nostra equitazione di cui proprio Giulia Martinengo Marquet è uno degli esempi più eloquenti… Tuttavia non può essere casuale che ciò sia accaduto proprio quando molti dei nostri migliori cavalieri si sono trasferiti all’estero…
«Sicuramente non è casuale. Faccio l’esempio di Lorenzo de Luca. Un giorno di parecchi anni fa mi ha chiamato per chiedermi cosa pensassi di un suo possibile trasferimento all’estero. Devi farlo, gli ho detto, devi farlo assolutamente… Molto probabilmente potendo tornare indietro nel tempo anche Giulia e io faremmo la stessa cosa, almeno per alcuni periodi. È una questione di confronti continui ai massimi livelli: se vai a fare un concorso nazionale in Belgio ci trovi sicuramente una trentina di cavalieri fortissimi che provengono da un sacco di nazioni diverse… e questo tipo di confronto produce stimoli e di conseguenza miglioramento. Detto questo, è anche vero che in Italia a livello istruttivo siamo cresciuti moltissimo e infatti ci sono tantissimi ragazzi che montano bene: una volta nelle categorie nazionali importanti c’erano cinquanta partenti, oggi ce ne sono centocinquanta e ottanta di loro potrebbero vincere la gara, la differenza a quel punto la fa il… ‘motore’ che hanno sotto la sella».
A proposito di questo: pur non essendo il commercio la vostra principale attività, lei e Giulia nel corso degli anni avete venduto all’estero diversi ottimi cavalli da voi valorizzati, però nessuno di questi ha migliorato il rendimento, e anzi qualcuno è proprio scomparso dalle scene… È un dato di fatto per lei positivo o negativo?
«La verità è che pochissimi di questi cavalli sono andati nelle scuderie di professionisti. Purtroppo la realtà del mercato attuale giustifica scelte e decisioni di questo tipo. In effetti noi un cavallo a una scuderia di alto livello siamo riusciti a darlo: Chiara a Ludger Beerbaum. E Chiara con lui ha fatto una carriera importantissima. La maggior parte delle volte invece abbiamo venduto cavalli a persone che non hanno potuto dare loro la possibilità di crescere».
Però ci deve essere comunque una grande soddisfazione nell’aver valorizzato così tanti cavalli che hanno poi richiamato l’attenzione del mercato…
«Sicuramente. Inoltre la soddisfazione è stata anche quella di permettere a Giulia di rimanere comunque a un buon livello di competitività in maniera continuativa nonostante la vendita di questi cavalli. Se ci si pensa, Giulia negli ultimi dieci anni ha avuto risultati importanti con sei o sette cavalli diversi… Il Gran Premio Roma l’ha fatto con più cavalli e continuamente diversi da un anno all’altro, riuscendo sempre a piazzarsi in ottime posizioni di classifica. La vendita di questi cavalli al di là del fattore economico è stata comunque un grosso riconoscimento per la nostra attività. Il fatto che trainer importanti ce li abbiano chiesti per i loro clienti ci ha fatto pensare di aver svolto un buon lavoro, calcolando che spesso si trattava di soggetti presi a un’età in cui non avevano ancora dimostrato un potenziale a cinque stelle e che invece i cinque stelle con Giulia sono arrivati a farli ottenendo ottimi risultati».
Nei suoi anni da cavaliere lei ha avuto tre cavalli importanti: Darantus Imp, Gitan P e Louis XIV.
«Sì, esatto. Credo che sarebbero tre cavalli eccellenti anche al giorno d’oggi per le qualità che avevano… Darantus era un cavallo irlandese che mi aveva dato Graziano Mancinelli, con lui ho vinto la Coppa della Regina a Barcellona… Gitan P ha fatto il Campionato del Mondo nel 1982 con Graziano Mancinelli. Louis è stato comprato in Germania con l’idea che non fosse un primissimo cavallo: in realtà poi lo è diventato e con lui ho fatto tantissimo. Ma allora era molto più facile trovare cavalli con i quali fare lo sport di buon livello: oggi è tutto molto più difficile, il livello tecnico e la competitività sono cresciuti tantissimo, la quantità di concorsi è impressionante… Basti pensare che i cavalieri che sono nei primi trenta o quaranta posti della computer list per restarci devono fare ogni settimana un cinque stelle, il che vuol dire avere due camion, quattro groom, dieci cavalli in scuderia… Una volta quando avevi un cavallo buono eri a posto: bastava per fare tutti i concorsi più importanti che c’erano… ».
A proposito di cavalli: il vostro allevamento Bianca Luna?
«Comincia a dare qualche soddisfazione. Il problema è che purtroppo per un fatto di dimensioni e di costi l’allevamento in Italia non è facile da fare, lo vedo come un’attività di pura passione più che di impresa. I numeri che fanno all’estero noi non li possiamo avere: senza arrivare al caso di Paul Schockemoehle il quale ragiona in termini di migliaia di puledri, ci sono allevatori diciamo normali che fanno cento puledri l’anno… con questi numeri è tutto molto diverso rispetto ad averne una decina».
Parlando in generale, quali sono gli obiettivi che lei pone davanti a sé ora come ora?
«Sono sempre obiettivi di sport. Giulia e io ogni mattina ci svegliamo pensando a quello che si può e si deve fare per far crescere i nostri cavalli, e per crescere a nostra volta insieme a loro. Per questo in noi c’è sempre una grande voglia di cercare il confronto con uomini di cavalli di grande competenza e spessore, gente del calibro di Jos Kumps, Henk Nooren, Ludger Beerbaum, Michel Robert, Giorgio Nuti, tutte persone con le quali abbiamo lavorato. Le ambizioni sono sempre di carattere sportivo e oggi, grazie anche al rapporto che abbiamo con Scuderia 1918, cerchiamo di costruire una squadra di cavalli che ci permetta in futuro di mantenerci ad alto livello anche quando qualche soggetto importante dovesse essere venduto, o magari dovesse rimanere per un po’ fuori dallo sport a causa di sempre possibili infortuni».
In conclusione si può dire che Stefano Cesaretto sia un uomo soddisfatto…
«Sono molto soddisfatto. Moltissimo. Lo sono per la famiglia che ho, lo sono per gli affetti, lo sono a livello sportivo. Sarebbe davvero stupido dire di non essere soddisfatti di quello che siamo e che abbiamo fatto. Anzi, quello che spero e che mi auguro è che noi si possa continuare esattamente così: sarebbe molto più che sufficiente… !».