Bologna, 2 gennaio 2018 – Una squadra di cavalieri fortissimi, tra i quali due – l’italiano Lorenzo de Luca e il tedesco Daniel Deusser – rappresentano un’eccellenza planetaria. Una scuderia dalla quale transitano centinaia e centinaia di cavalli, uno dei quali – Halifax van het Kluizebos – è stato il numero uno del 2017 nelle classifiche del salto ostacoli mondiale. Un commercio di veicoli per il trasporto cavalli il cui valore è tra i più importanti al mondo. Ecco chi è Stephan Conter, belga, classe 1965, l’uomo che ha inventato il marchio Stephex. Un uomo per il quale l’Italia ha rappresentato qualcosa di importante fin dal principio…
«Sì, ho cominciato la mia attività proprio in Italia, nel 1986, con i miei primi clienti ai quali ho venduto cavalli».
Ma come mai ha deciso di dedicarsi al commercio di cavalli sportivi… lei ha cominciato come cavaliere, no?
«Sì, cavaliere molto normale, fino alle 145, ma non ero bravo abbastanza, non avevo talento. E soprattutto non avevo i mezzi economici sufficienti per mantenermi nello sport».
Quindi ha poi deciso di cambiare obiettivo…
«Sì, subito dopo l’università. Perché io ho un difetto: a me piace pensare alle cose in grande. Il commercio dei cavalli sportivi mi piaceva moltissimo, così ho deciso di prendere dei cavalieri che montassero per me, dedicandomi a mia volta alle relazioni commerciali. Perché per poter ottenere risultati sapevo di dover lavorare dandoci dentro… ».
Detta così sembra una cosa facilissima… In realtà come sono andate le cose?
«Venivo spesso a fare i concorsi in Italia. Mi piaceva tantissimo venire in Italia. E mentre ero in Italia ho incontrato un commerciante di Milano, Franco Barbetta, nel 1987. Ho cominciato a fare il mediatore comperando dei cavalli per lui. Venivo tutte le settimane al mercato di Monza, a Montichiari… Poi ho incontrato altri commercianti dell’epoca come Etrea, Sibilia, Zancarli… e così ho imparato a conoscere tutti loro, facendo il mediatore».
L’Italia è stata davvero la sua scuola, dunque!
«Certo. L’Italia è stata fondamentale per me. Infatti poi le cose sono andate bene e così a un certo punto ho deciso di mettermi per conto mio comperando dei cavalli per me e ingrandendo la scuderia. Ho cominciato a vendere dappertutto, grazie anche ai miei ottimi rapporti con tutti i migliori commercianti italiani».
Cavalli di che livello, più o meno?
«Un po’ di tutto. In effetti quelli di più alto livello ho cominciato a trattarli come socio di Ludo Philippaerts: venticinque anni fa abbiamo cominciato insieme venendo a Piazza di Siena con cavalli più costosi, poi però mi sono diretto di più sul mercato americano».
Più facilità di commercio oltreoceano?
«Beh, diciamo che a partire da una decina di anni fa la crisi economica ha frenato molto il mercato in Italia. Adesso sembra che per la gente ci sia di nuovo la voglia di spendere, la sensazione è che in questi ultimi tempi le cose stiano ripartendo».
La sua scuderia in Belgio è a Wolvertem, praticamente Bruxelles: ma è sempre stata lì?
«Sì, Ho comperato nel 1989. Sono 33 ettari con 225 box divisi in scuderie separate. Ogni cavaliere ha la sua scuderia indipendente che può essere da quattro, da otto, da nove, da sedici cavalli come nel caso di Daniel Deusser e di Lorenzo de Luca. E ogni scuderia ha il suo personale. Praticamente è come se ognuno di loro fosse indipendente, anche se ovviamente indipendente non è».
Perché lei controlla e segue tutto?
«No, c’è tanta gente che lavora da noi, non faccio tutto io ovviamente, non potrei, intorno a me ho tante persone molto valide».
Ecco, un po’ di numeri: quante persone lavorano per lei?
«In totale da 650 a 700. Ma abbiamo anche tante industrie: noi produciamo van per cavalli e motorhome per macchine da corsa. Abbiamo cinque fabbriche che costruiscono: partiamo da zero su un telaio che comperiamo da Mercedes o Volvo o Iveco, e su quel telaio nudo costruiamo tutto il resto».
Anche questa è un’attività nata per passione?
«Sì, mi sono sempre piaciuti i camion belli, ne sono appassionato da sempre. Ho cominciato come amatore circa venticinque anni fa: comperavo telai usati e li mandavo in Inghilterra per farci costruire il van. Pensi che un giorno prima di Piazza di Siena dell’anno scorso a Cattolica ho incontrato Francesco Corsi: mi dice sai che ho ancora un camion fatto da te… ah sì, dico io, ovviamente non mi ricordavo assolutamente di quel camion nonostante Francesco sia un amico, così lo vado a vedere e… sì, certo, uno dei primissimi camion che avevamo costruito noi… così lo guardo e lo vedo bellissimo… quasi quasi me lo sarei ricomprato per metterlo in un museo da noi in Belgio!».
Però dopo la fase diciamo amatoriale dell’Inghilterra le cose si sono evolute…
«Sì, infatti. Ho cominciato a far fare camion alla RK che era gestita in Ungheria e Germania. Facendo questo ho preso una piccola fabbrica di trenta persone in Ungheria ed è stato lì che abbiamo cominciato con la nostra produzione. Poi abbiamo comperato la RK, la Ketterer, la AKX, l’Equix e dato così vita alla STX. Infine quattro anni fa siamo partiti con la Stephex Van per la produzione di van da due cavalli».
Il tutto con il marchio Stephex: come è nato questo nome?
«È nato in modo molto semplice al tempo in cui ho cominciato a commerciare in Italia. Io mi chiamo Stephan, e al posto della ‘an’ finale ci ho messo ‘ex’, come esportazione… Poi allora andava di moda mettere una x in queste cose… così ho messo anche io la x!».
E l’attività commerciale con i van funziona bene?
«Molto bene. Nel settore dei van per due cavalli siamo i leader del mercato con una produzione di 550 veicoli all’anno. Tanto per darle un’idea, il mio primo concorrente ne produce 250. Abbiamo poi il 68% del mercato europeo dei van sopra i 250 mila euro di prezzo. Il che vuol dire una produzione annua di 180 veicoli».
Torniamo ai cavalli sportivi. Come è nato il rapporto con Lorenzo de Luca?
«Beh, Lorenzo è un ragazzo con un talento incredibile, umile, lavoratore… lavora come un tedesco, è davvero straordinario. Ma oltre al talento sopraffino, Lorenzo ha una qualità favolosa: un senso e un rispetto estremo per i cavalli. Lui fa amicizia con i suoi cavalli. Mi rendo conto di poter sembrare un po’ ridicolo nel dire questa cosa, ma la realtà è proprio questa: Lorenzo diventa amico dei suoi cavalli. E del resto oggi questi cavalli formidabili per rendere al meglio hanno bisogno anche del rapporto basato sull’intelligenza, sulla sensibilità, sull’affetto. Quando un cavaliere vive con il proprio cavallo un rapporto basato su affetto, comprensione e complicità crea un binomio certamente più forte, molto più forte rispetto a quello che potrebbe essere considerando solo tecnica e forza fisica. E questo è esattamente il caso di Lorenzo».
È una bellissima storia quella che avete costruito insieme…
«Voglio essere sincero. All’inizio io avevo veramente paura di prendere Lorenzo a lavorare con me, perché… insomma, devo riconoscere che non tutte le esperienze che avevo avuto in Italia erano state molto positive… Mi chiedevo sarà serio, sarà lavoratore, e poi come andrà a finire… a me non piace prendere qualcuno per poi accorgermi dopo sei mesi o anche un anno che le cose non funzionano, a me piace costruire qualcosa di lungo periodo. Insomma, ero un po’ timoroso… ».
Quindi Lorenzo è stata una bella scoperta? Una sorpresa?
«Più o meno sei anni fa ho ricevuto un sacco di telefonate dall’Italia di gente che mi diceva prendi quel ragazzo con te che ha talento, prendilo con te, è un talento sicuro, ma io non ho voluto dare ascolto a nessuno. Poi quando Lorenzo stava lavorando da Neil Jones gli ho dato qualche cavallo da montare. E sono rimasto sorpreso da quanto fosse forte come cavaliere. Ma non ero ancora molto convinto: cioè, mi avevano convinto la sua simpatia, la sua bravura… però dicevo tra me e me che nel nostro mestiere bisogna essere veramente seri, onesti, affidabili e che non basta essere simpatici e bravi. Ma alla fine mi sono deciso e ho detto: sono pronto a correre il rischio, se sarà un errore… pazienza. È bastato però poco, molto poco per accorgermi che non mi ero affatto sbagliato! Lorenzo è così: un ragazzo rigoroso, lavoratore, gentile, disponibile, corretto, sincero, trasparente, un vero signore, un gentiluomo, e poi un talento purissimo… Questo ragazzo si merita di salire davvero al massimo vertice mondiale, nel solco dei fratelli d’Inzeo e di Graziano Mancinelli».
Quanto a bravura, poi, nemmeno Daniel Deusser scherza… Come sono i rapporti tra i due?
«Funzionano benissimo. Per certi aspetti sono due tipi opposti ma vanno molto d’accordo, sono tutti e due molto intelligenti e questo è molto importante. E non è semplice quando si è a quel livello di competitività e di stress agonistico: ma sono entrambi ragazzi favolosi. Sanno che lavorano per una squadra, per un team, si aiutano molto. Stephex è un team, non è una sola persona: questa è la cosa più importante da tener presente! Oggi abbiamo Daniel Deusser, Lorenzo de Luca, Jonna Ekberg, Petronella Andersson, le mie due figlie, più tutte le persone che lavorano con loro… Ma Daniel e Lorenzo sono cavalieri tra i più forti del mondo, e non con un solo cavallo. La cosa bella è che sono lì tutte le settimane con diversi cavalli con i quali possono vincere».
Ma questo soprattutto grazie a lei…
«No, non solo grazie a me. Servo io e serve il cavaliere, ma da soli non siamo sufficienti: ci vuole tutta un’organizzazione, una squadra… C’è tutto il team Stephex dietro i nostri successi. E credo che sia una motivazione forte per un cavaliere, la consapevolezza di avere un team forte alle spalle. Oggi è tutto molto difficile, bisogna poter contare su un’organizzazione che fa funzionare le cose».
Beh, in questo momento siete di certo la scuderia più forte del mondo…
«Non sta a me dirlo, però sento altri che lo dicono. Del resto questo era il mio grande sogno, riuscire a fare esattamente quello che stiamo facendo. Quando sei sull’onda positiva bisogna cercare di rimanerci il più a lungo possibile. Poi sicuramente ci sarà un giorno in cui avremo risultati meno brillanti, ma questo è lo sport».
Lei deve essere una persona felice, no?
«Super felice. Ma lo stress c’è comunque. Rimanere in alto non è facile… Proprio no!».