Bologna, lunedì 19 agosto 2019 – La nostra tanto amata squadra azzurra comincia oggi il suo e il nostro Campionato d’Europa di salto ostacoli a Rotterdam. Oggi alle 14 le visite veterinarie, domani alle 17 il warm-up, mercoledì alle 14 la prima prova valida sia per la classifica individuale sia per quella a squadre. Ci siamo, dunque: si inizia.
Si inizia, sì. Ma mentre siamo ancora a bocce ferme è indispensabile qualche considerazione introduttiva. Prima di tutto, gli obiettivi. Il podio di un campionato continentale rappresenta di per sé un traguardo nobile e prestigioso, ma per quanto riguarda noi – e Francia, Belgio, Irlanda, Gran Bretagna, Spagna, Austria, Danimarca, Norvegia e Portogallo: siamo in buona compagnia… – l’obiettivo più importante è la qualifica per le Olimpiadi di Tokyo 2020 (parentesi: ci sarà un’ultimissima possibilità di qualificarsi a Barcellona in occasione della finale mondiale del circuito di Coppa delle Nazioni: un posto riservato alla migliore squadra tra le non qualificate). Cosa deve accadere perché noi la si ottenga? Semplice: dobbiamo finire tra le prime tre squadre in classifica escludendo quelle già qualificate, che sono Svezia, Germania, Svizzera e Olanda. Non è propriamente un giochetto da nulla… E tanto per rendere ancora più chiara la questione, ricordiamo che da quando il Cio ha introdotto l’obbligo di qualificarsi – a partire dai Giochi di Atlanta 1996, quindi sei Olimpiadi fino a oggi – noi abbiamo centrato l’obiettivo solo una volta: per Atene 2004, grazie al 6° posto ottenuto nel Campionato d’Europa di Donaueschingen 2003 (Bruno Chimirri su Landknecht, Massimo Grossato su El Kintot, Roberto Arioldi su Dime de la Cour, Vincenzo Chimirri su Rosa VIII); abbiamo partecipato in effetti anche ad Atlanta 1996, ma solo perché ripescati dopo aver fallito la qualifica, perdendo in seguito Sydney 2000, Pechino 2008, Londra 2012 e Rio de Janeiro 2016. Come si vede, dunque, per noi è stato sempre tremendamente difficile raggiungere l’appuntamento a cinque cerchi.
Ma perché è così importante per noi riuscire a essere in campo alle Olimpiadi, e in particolare alle prossime Olimpiadi? C’è chi sostiene che lo sia per il rispetto di una tradizione che ha visto l’Italia spesso protagonista fino al 1972 (poi è calato il buio… ). Beh, sinceramente e con tutto il rispetto per i magnifici campioni che in passato hanno portato a termine imprese tanto favolose quanto indimenticabili, in questo momento della tradizione non potrebbe importarcene di meno… ! Il motivo per cui per noi è fondamentale arrivare a Tokyo 2020 è che da quel 1972 quasi preistorico l’Italia del salto ostacoli mai come in questo momento ha vissuto un periodo altrettanto felice: e per continuare ad alimentarne la vitalità bisogna avere obiettivi, motivazioni, traguardi, sfide… Altrimenti il meccanismo si inceppa perché il nostro sport è fatto sì di amazzoni e cavalieri, ma soprattutto di cavalli: e con l’esasperato professionismo di oggi – e con il forte potere di acquisto di taluni – se non ci sono obiettivi i cavalli si vendono. Oppure diciamo che senza arrivare all’ipotesi più drastica, cioè quella del depauperamento del parco cavalli, non si alimenta più il motore che serve per mantenere le più alte velocità. Massimo Grossato lo ha detto benissimo due giorni or sono in un’intervista pubblicata su queste stesse pagine: «La qualifica alle Olimpiadi è fondamentale. Ma lo è per tutti. Per un movimento che deve dimostrare di essere al livello a cui tutti pensiamo di essere arrivati, e sono questi i momenti in cui bisogna dimostrarlo. Ci sono un sacco di ragazzi a casa che montano bene e che potrebbero avere un giorno l’opportunità di trovare nuovi sponsor e nuovi proprietari, ma questo lo si ottiene solo se lo sport rimane ad alto livello con la visibilità che c’è adesso. Se scendiamo di livello è finita… È un problema per tutti, non solo per noi che adesso siamo lì». È proprio così: il punto è esattamente questo. E se scendiamo di livello – per usare le parole di Massimo Grossato – risalire sarà durissima.
Bene, questi sono gli obiettivi. Ora, il punto successivo è la fatidica domanda: ce la faremo? Prima di rispondere – ammesso che sia possibile farlo… – bisogna chiarire un aspetto della questione. La nostra squadra è forte e la stagione di Prima Divisione è stato un magnifico successo: anzi, molto più che magnifico dato che l’esito positivo nel circuito di Coppa delle Nazioni era uno dei due obiettivi primari e dunque fondamentali della nostra stagione. Adesso però è bene cancellare del tutto il ricordo di quello che è accaduto in Prima Divisione perché un Campionato d’Europa è una faccenda completamente diversa. Completamente. Le Coppe delle Nazioni della Prima Divisione sono difficili e richiedono cavalli e cavalieri al meglio delle loro possibilità: ma un Campionato d’Europa è ancora più difficile. E lo è per due motivi. Primo: la quantità di percorsi e di giornate di gara di massimo livello per cui è necessario non solo esprimere tutta la propria qualità al meglio esattamente nel momento in cui ciò viene richiesto, ma anche ‘tenendo’ moralmente e psicologicamente sotto una pressione pazzesca per un periodo di tempo molto lungo. Secondo: il livello degli avversari. Noi nelle Coppe delle Nazioni dell’anno abbiamo incontrato solo qualche formazione fortissima per volta (grazie a questo scriteriato regolamento della Prima Divisione: ma, come si dice, questa è un’altra storia), diciamo la squadra numero uno di quella nazione: a San Gallo la Francia che ci ha battuto e la Svizzera che ci è rimasta dietro (e comunque dopo un barrage a tre, quindi in realtà potremmo dire che le tre squadre sono state tutte allo stesso livello); a Falsterbo la Svezia e la Svizzera, che ci sono rimaste davanti; a Hickstead nessuna nazione ha presentato la propria migliore formazione, noi compresi, e siamo rimasti dietro Svezia e Irlanda; a Dublino abbiamo battuto una fortissima Irlanda e siamo rimasti alle spalle di una fortissima Gran Bretagna. Dunque ci siamo confrontati volta per volta al massimo con due/tre formazioni di livello assoluto, dimostrandoci sempre in grado di reggere il confronto molto bene e talvolta perfino di vincerlo. A Rotterdam però troveremo tutte le migliori squadre di ben quattordici nazioni… ! Tutte insieme: cioè il meglio del meglio del mondo, escludendo Stati Uniti, Brasile e Canada. Un vero e proprio esercito di avversari fortissimi, anche se in effetti la nostra ‘guerra’ noi la combatteremo contro le squadre che non hanno ancora la qualifica olimpica in pugno. Cosa vuol dire tutto questo, che siamo spacciati? Ma niente affatto… ! Vuol solo dire che dobbiamo essere tutti (tutti: addetti ai lavori e spettatori e osservatori) molto ben consapevoli che i nostri cavalieri stanno andando incontro a un impegno davvero titanico, e che portandolo a compimento felicemente stabilirebbero un’impresa senza eguali rispetto a quelle pur entusiasmanti che hanno caratterizzato il nostro 2019, e men che meno a quelle (fallite) che per la maggior parte delle volte hanno caratterizzato il nostro passato dal 1996 a oggi.
E quindi torniamo alla domanda fatidica: ce la faremo? Il cuore ovviamente dice di sì, ma anche la mente… salvo il fatto che nello sport – a maggior ragione nel nostro, con tutte le variabili possibili legate allo stato di forma e di salute dei cavalli – tutto può sempre accadere. Nel male, certo: ma anche nel bene! Noi abbiamo cinque cavalieri molto maturi, molto bravi, molto ben consapevoli di tutto e anche molto esperti, con la sola eccezione da questo punto di vista di Riccardo Pisani che è al suo primo campionato internazionale potendo tuttavia contare su un carattere molto calmo e controllato, oltre che su un cavallo di notevole qualità come Chaclot. Per il resto ci sono l’acciaio e il fuoco di Bruno Chimirri, il quale saprà tirare fuori il massimo e il meglio da un Tower Mouche che è cresciuto giorno per giorno e concorso dopo concorso sotto la sua sella; la tensione emotiva e passionale – che virata in positivo offre risultati formidabili – di Luca Marziani, su quel Tokyo du Soleil che è stato il cavallo rivelazione del 2018 a suon di percorsi netti; il nevrile entusiasmo elettrico di Giulia Martinengo Marquet, bellezza e bravura e risultati in un’unica soluzione, in sella a un Elzas che non finisce di stupire sulla rampa di lancio innalzata in occasione dello scorso Csio di Roma; infine Massimo Grossato che arriva a Rotterdam sulla carta come riserva, il cui Lazzaro delle Schiave sta vivendo adesso probabilmente il momento migliore della sua intera carriera sportiva. Il tutto pilotato da un uomo esperto e competente come Duccio Bartalucci, la cui sapienza è direttamente proporzionale alla sua imperturbabilità…
La battaglia sportiva si annuncia tremenda. Lo sport sarà magnifico. Lo spettacolo ci terrà con il fiato sospeso fino all’ultimo… ma noi a Tokyo 2020 ci saremo. Il campo di Rotterdam – o quello di Barcellona – lo dirà.
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https://www.longinestiming.com/equestrian/2019/longines-fei-european-championships-rotterdam-rotterdam