Bologna, 24 luglio 2017 – Quello di Aachen è lo Csio più importante del mondo. Dunque quello di Aachen è il Gran Premio più importante del mondo. Dunque per un cavaliere vincere il Gran Premio di Aachen equivale a una medaglia di un campionato internazionale. Sì, davvero. Un cavaliere di salto ostacoli entra nella storia della specialità per tre vittorie: quella della medaglia d’oro delle Olimpiadi, quella della medaglia d’oro del Campionato del Mondo, quella del Gran Premio dello Csio di Aachen. Con una sola di queste tre vittorie si diventa eterni. Gregory Wathelet ha vinto il Gran Premio di Aachen ieri: è entrato nella storia, dunque. Meritatamente, perché è un cavaliere bravissimo, soprattutto un cavaliere universale, capace cioè di montare a cavallo: non di montare un cavallo. Quella di ieri è la vittoria più importante della sua vita, ottenuta su quello stesso campo ostacoli dove nel 2015 aveva conquistato la medaglia d’argento individuale nel Campionato d’Europa, l’altro più significativo traguardo raggiunto nella sua carriera di cavaliere professionista.
Ad Aquisgrana poi stava per accadere qualcosa d’altro nella carriera di Wathelet: ma per fortuna non è accaduto. Nel Campionato del Mondo del 2006 la sua squadra ha perduto per un soffio la medaglia di bronzo. Ribadiamo: per fortuna. Perché in quell’occasione la sua squadra non era il Belgio, bensì l’Ucraina. Vale a dire una squadra – quella squadra – che ha rappresentato la più colossale e scandalosa offesa ai principi della rappresentatività sportiva che lo sport equestre possa ricordare. Una squadra messa insieme da Alexander Onishenko a suon di denari: una squadra comprata. Proprio come noi comuni mortali andiamo al supermercato a fare la spesa: solo che Onishenko dentro il carrello ci ha messo un po’ di cavalieri belgi, un po’ di cavalieri tedeschi, un pizzico di Brasile da utilizzare qualche anno più tardi per insaporire il tutto, poi una bella carta di credito e… voilà, ecco fatta l’Ucraina. Una spesa meritoria del resto: grazie a Onishenko le percentuali relative alle etnie presenti in Ucraina si sono modificate, seppure in misura minima, poiché i suoi cavalieri si sono aggiunti ai Tatari di Crimea, ai Gagauzi, agli Armeni, ai Rom, agli Azeri, ai Bielorussi, ai Caraiti… solo per dirne alcuni. Che poi i Gagauzi e i Caraiti e gli altri vivano, lavorino e si riproducano effettivamente sul suolo ucraino è un dettaglio insignificante…
Gregory Wathelet – nato in Belgio il 24 dicembre 1976 – è stato ucraino dal 17 dicembre del 2005 fino al 15 maggio del 2008. Nel maggio del 2008 ha avuto un ripensamento e ha deciso di ritornare a essere ciò che era sempre stato: belga, ovviamente. La decisione migliore, più sana, più giusta che potesse prendere: sarà stata indotta magari anche da questioni di utilità o di interessi personali, ciò non toglie che è stata una scelta che gli ha fatto grande onore (Onishenko nel carrello della spesa avrebbe voluto ficcarci anche Steve Guerdat, il quale gli ha risposto gelido: “Io sono svizzero”; e pare – pare, si dice, si spettegola… – che dal momento in cui il tedesco Bjorn Nagel ha firmato il contratto per diventare ucraino suo padre Tjark non gli abbia più rivolto la parola per un buon periodo di tempo… ). E che in quel 2006 questa sedicente Ucraina abbia solo sfiorato il podio del Campionato del Mondo sembra quindi la più giusta delle beffe: ma la beffa peggiore sarebbe stata se sul podio quella squadra ci fosse salita. In ogni caso un dato di fatto è incontrovertibile, a proposito di Gregory Wathelet: i suoi più importanti successi il cavaliere belga li ha conquistati da belga, e non da ucraino, nonostante il fiume di denari dilapidato da Onishenko nell’acquisto sia di cavalieri sia di cavalli (poi le faccende che hanno visto il miliardario ucraino protagonista nei tribunali per questioni fiscali sono cose che qui non interessano… ma ci sono state). Che Gregory Wathelet abbia raggiunto la vetta dello sport agonistico mondiale rappresentando la bandiera del proprio Paese è oggi la dimostrazione più pura e più bella di quanto eticamente sbagliato fosse quel progetto basato sul mercimonio di qualcosa che in realtà non può essere né comprato né venduto. La vittoria di Gregory Wathelet ad Aquisgrana può quasi essere vista come il giusto premio per chi ha avuto la forza e il coraggio di abbandonare una situazione riconoscendo l’errore di esserci caduto anche per responsabilità propria: quindi tanto di cappello. C’è voluto del tempo, certo: con i cavalli e nello sport equestre nulla nasce dall’oggi con il domani (solo Onishenko probabilmente lo riteneva possibile… ). Ma alla lunga la ragione offre i suoi premi.
LA CLASSIFICA DEL GRAN PREMIO ROLEX DI AACHEN
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