Pescara, 11 ottobre 2022 – Mettersi in viaggio a cavallo è una esperienza di per sé: una formazione continua, un viaggio nel mondo che ci circonda e dentro noi stessi che non termina mai.
E l’esperienza, lo dice la parola stessa, si deve sperimentare in prima persona.
Ma siccome chi fa le spese dei nostri sbagli sono i cavalli, è fondamentale evitarne il più possibile approfittando dell’esperienza di chi ne ha: come Frank Montefusco, accompagnatore equestre sull’Appennino abruzzese e profondo conoscitore della sua terra.
“Ci sono 5 punti legati al turismo equestre che ne sono il fondamento e contribuiscono alla crescita del binomio: saper montare, saper individuare la corretta bardatura per il nostro cavallo e il materiale al seguito, come affardellare il cavallo sena procurargli fastidi , come affrontare gli ostacoli tipici dell’ambiente naturale e infine la capacità di condividere vita e bellezza dei territori attraversati”.
Saper montare a cavallo è indispensabile.
Può sembrare ovvio dirlo, ma spesso il turismo equestre è visto dome una ‘diminutio’ dell’equitazione mentre è esattamente il contrario.
“E spesso mettersi alla prova su dislivelli veri fa capire ancor meglio l’importanza del lavoro in piano svolto in rettangolo, e quale sia il corretto assetto da tenere per non affaticare se stessi e il cavallo” precisa Montefusco.
“Conoscendo il nostro cavallo e facendo strada con lui capiremo quale è la sella che gli si adatta meglio, a seconda della sua conformazione. Ma anche quali saranno le cose veramente indispensabili da portare con noi”.
Classico esempio di funzionalità a più usi la coperta militare da usare come sottosella.
Ottima per la schiena del cavallo, comodissima da aver sottomano per coprire al volo appena si dissella noi, il cavallo o le bisacce.
”Robert Baden-Powell, il papà dei Boy Scout diceva che non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento: ed è verissimo, spesso la differenza tra una bellissima esperienza e un viaggio molto complicato può dipendere non solo da cosa portiamo con noi, ma anche da dove lo abbiamo dislocato sulla nostra persona o nelle bisacce”.
Maggior parte del peso sull’arcione anteriore della sella, niente parti che sfreghino la pelle del cavallo toccandolo ad ogni passo, prove di affardellamento fatte ben prima del trekking in brevi uscite di preparazione:
“E’ indispensabile che il cavallo lavori in serenità, e non ci sia niente che lo infastidisca o gli provochi sofferenza” sottolinea Frank.
Ci sono poi le situazioni di difficoltà tipiche dell’equitazione in ambiente.
Ad esempio meglio memorizzare in anticipo che in qualunque passaggio su dislivello per invertire la direzione è indispensabile che il cavallo si giri con la testa rivolta a valle.
“Lui è capace di girarsi in una mattonella, ma deve poter vedere dove è il pericolo” spiega Montefusco, “uno scostamento della groppa o peggio ancora un posteriore nel vuoto potrebbero causare un disastro sia col cavallo a mano che con il cavaliere in sella”.
Punto quinto, vedere la bellezza che ci circonda.
Per Frank trascorrere la notte al campo insieme al proprio cavallo è uno dei momenti più suggestivi del trekking in sella, ma è importante anche prepararsi sulla storia e la cultura della terra in cui passiamo per apprezzarla al meglio, e capire quello che si vedrà.
E poi portarci via ogni volta qualcosa di più: ricordi, panorami, storie, facce ed esperienze, per l’appunto.
Curiosità
Se vi capita di vedere sulle bancarelle di libri usati le librette rosse dello Stato maggiore dell’Esercito per le armi di fanteria e Cavalleria, non fatevele scappare: in particolar modo le Istruzioni sulle Salmerie per l’artiglieria da montagna e i muli, e tutte quelle che riguardano cavalli ed equitazione sono dei piccoli tesori di buon senso, con molte nozioni e illustrazioni utili riguardo conduzione, affardellamento, selleria, mascalcia e governo.
Il consiglio di Frank ‘Majella’ Montefusco: muoversi in punta di zoccoli
Quando si attraversa un territorio bisogna averne cura e rispetto come se fosse nostro, anzi di più. Attraversare un territorio in punta di zoccoli significa non creare disturbo: e se riusciamo a non lasciare nessuna traccia del nostro passaggio, magari solo un po’ di ricaduta economia per le genti che ancora lo vivono, allora abbiamo fatto del buon turismo equestre.