Brindisi, 15 giugno 2020 – Continuiamo con le nostre idee per viaggiare a cavallo, o con i cavalli, o per vedere cavalli…insomma, seguiamo come sempre la nostra passione che, questa volta, ci porta tra vini e cavalli di Puglia.
Che ti abbaglia con il candore delle masserie, ti affascina con l’incantevole architettura arcaica dei trulli e la raffinatezza dei ricami in pietra di cattedrali e palazzi nobiliari: non ci si può sottrarre alla sua magia, e noi ci siam lasciati stregare da quel pezzo di Salento che sfuma nella Murgia, tra Ostuni e Martina Franca.
Scoprirla a cavallo è il massimo: tratturi, tratturelli e la rete delle strade secondarie in terra battuta che uniscono le masserie ai paesi sono un infinito ricamo in bianco sottolineato dai muretti a secco che percorrono tutta questa terra, riquadrandola in minimi comun denominatori riempiti di mandorli, ulivi, vigneti, frutteti, pascoli, branchi di cavalli e asini e vacche podoliche che sono da sempre la ricchezza della sua gente.
Gente che ama profondamente la propria terra, i pugliesi: lo capisci da come conservano le loro tradizioni vive e anche dalla fermezza con cui sono stati capaci di mantenere inalterati o quasi anche i modelli morfologici dei loro cavalli – trovalo un altro che sia rimasto uguale a se stesso nell’ultimo secolo, come è stato capace di fare il cavallo delle Murge.
Un cavallo dall’aspetto nobile e sontuoso ma che ha lavorato questa terra per secoli, senza paura di sminuirsi indossando la collana e tirando l’aratro: anche tra le vigne, certamente, e quanto questi vini abbiano viaggiato sui coloratissimi traini pugliesi lo possono sapere soltanto loro, i neri cavalli delle Murge.
Una questione di imprinting
Il dottor Vito Ricci è medico veterinario e ha avuto in regalo dalla vita un curioso destino: adesso segue anche i cavalli dei Carabinieri (ex- Corpo Forestale dello Stato) a Masseria Galeone di Martina Franca, a 25 km. da Ostuni ma lui in quella masseria c’è nato. “Mio nonno era massaro lì, il proprietario era un Semeraro che faceva il pittore” ricorda Ricci, “ho ancora un quadro con mio padre e uno stallone Murgese davanti la masseria. Poi Galeone è stata venduta e noi ci siamo trasferiti ad Ostuni, ma ogni volta che torno lì è un’emozione: so qual è la stanza dove sono nato, la prima volta che l’ho rivista mi è salito il cuore in gola. In tanti anni le cose sono cambiate: il Murgese era un capatosta, ma da anni a Galeone si abituano i puledri al contatto con l’uomo dalle primissime ore di vita e questo ha cambiato tantissimo le cose. E’ la madre che insegna al puledro, nei primi giorni, quali sono le cose buone e quali sono quelle cattive da cui deve scappare: noi sfruttiamo il periodo dell’imprinting per far abituare il puledro da subito ai rumori, all’acqua, al fuoco, ai finimenti e anche agli spaventi. Così i nostri puledri crescono già addestrati, i Carabinieri adesso hanno scoperto che non si spaventano per nulla e ne hanno già portati tre al loro Reggimento Corazzieri a Roma (vedi Cavallo Magazine nr. 363, n.d.a.). I cavalli si difendono come possono da quello che considerano minaccioso, anche io come veterinario devo fare in modo di stabilire un rapporto di fiducia con ognuno di loro o si corre il rischio che cerchino di nascondere le loro debolezze – cercano anche di non farsi vedere marcare se riescono, perché è il più debole che viene attaccato dai predatori. E poi ci sono gli asini, che filosofi: loro non li convinci a fare qualcosa che non ritengono logico. Ne erano rimasti pochissimi di quelli di Martina Franca, una quarantina d’anni fa erano appena 37 i riproduttori iscritti: poi la Regione ha elaborato una politica di protezione, studiato gli accoppiamenti in modo da ovviare ai problemi di consanguineità e dato gli asini in comodato gratuito agli allevatori. Ora ce ne sono oltre un migliaio, e la razza – una delle 5 più grandi al mondo – non è più tra quelle immediatamente a rischio di estinzione. Una volta la produzione di muli era una risorsa importantissima dei nostri allevatori, sono ibridi che nascono dalla cavalla coperta dallo stallone asinino, dopati naturalmente perché ereditano il numero di globuli rossi del padre: e gli asini ne hanno il doppio rispetto ai cavalli“.
Itinerario dei Giganti: tra gli ulivi millenari
Nelle immediate vicinanze di Ostuni il territorio fortemente antropizzato costringe spesso a seguire almeno in parte qualche tratto di asfalto. Ma una volta arrivati ai sentieri che portano sulle lame, fenomeni carsici tipici delle Murge creati dall’azione erosiva delle acque sulle rocce calcaree, si possono calcare gli zoccoli su terreno buono: da casa del dottor Vito Ricci, Masseria Tenuta Scaglione al Parco Archeologico e Naturalistico di Santa Maria d’Agnano e di qui al Santuario di San Biagio, per poi entrare nei boschi dei colli di Sant’Oronzo sono circa 20 km. Tra andata e ritorno, una escursione comoda da affettuare in giornata. Proseguendo ancora si può prendere il sentiero dell’Elba con la sua discesa sterrata e seguire la sua vena verde tenendosi a metà tra la costa e Cisternino, godendo della vista del mare che è lì vicinissimo, quasi alla portata di un galoppo.
Elemento fondamentale del paesaggio tra Ostuni, Fasano, Monopoli e Carovigno sono gli ulivi millenari disseminati sulla piana: alcuni hanno una età stimata di 3000 anni e risalgono ai Messapi, i loro tronchi contorti sono dei veri e propri monumenti naturali. Pensare che al momento della nascita di Cristo erano già alberi plurisecolari regala una emozione tutta particolare, sembra di poter toccare la storia appoggiando le mani sul loro tronco. Una curiosità: sono tutti attorcigliati in senso orario, secondo il senso della rotazione terrestre.
Vini autoctoni di Puglia: una ricchezza a cura di Antonietta D’Onghia
La Valle D’Itria è il cuore dei bianchi di Puglia, piacevolissimi vini si ottengono dai filari di Bianco D’Alessano e Verdeca in un ambiente naturale punteggiato dai coni dei trulli che si ammirano affacciandosi dalle balconate dei borghi di Cisternino, Locorotondo e Martina Franca. Al nome di questi centri si ispirano le due DOP caratteristiche in cui alle uve Verdeca e Bianco D’Alessano si affianca il Fiano Minutolo, raro vitigno autoctono rilanciato per la sua aromaticità.
Il Bianco D’Alessano conferisce ai vini una marcata vena acida con note di erbaceo, mela verde e mandorla amara protese a tavola verso crostacei crudi e carni bianche. La sua origine viene attribuita alla Valle d’Itria dove viene coltivato e vinificato in consociazione con un altro autoctono, il Verdeca che impartisce riflessi verdolini molto ricercati dagli estimatori anche nella versione spumante. Più a sud, nel territorio brindisino è il Susumaniello a mantenere le redini dei rossi dell’Alto Salento. In dialetto salentino Susumaniello significa Piccolo Somarello Nero ; i contadini dicono che derivi dall’abitudine delle vigne di caricarsi di uva come un somaro, altri dal suo carattere caparbio e la riluttanza a farsi domare. Importato probabilmente dalla Dalmazia, ha trovato tra Ostuni e Brindisi condizioni pedoclimatiche ottime per la produzione di un vino intrigante, sia nella versione rosso fermo sia in rosato. Prugna e frutti rossi, fragranze speziate che ricordano pepe e vaniglia si concedono a nozze al tipico fornello pugliese.
E’ un vino di grande corpo, con tannini importanti ma eleganti ed un lungo finale pulito che invita ad un altro sorso. Questo è un vino radioso come la sua terra, un vino che parla la lingua della gente di qui. Cin Cin.
Un Negroamaro fatto col cuore
Il dottor Elio Minoia è un enologo ed è nato a Conversano, un nome che per chi ama l’ippologia sa di storia: si chiama così infatti una delle linee classiche dei cavalli Lipizzani, dal nome dello stallone capostipite che era un cavallo Napoletano nato nel 1767 e Conte di Conversano era anche uno degli stalloni capostipiti della razza Murgese, nato nel 1931. La sua famiglia ha sempre allevato cavalli ma questa volta con lui, grande interprete del Negroamaro, vogliamo parlare di vini e di viti.
“La vite è molto generosa: si adatta a qualsiasi ambiente, basta curarla nel modo giusto. Io faccio biologico da 30 anni, e se si fa il raffronto fra l’uomo e la vigna ci sono molte similitudini: perché biologico significa equilibrio, cioè dare alla pianta le migliori condizioni possibili. Insieme al biologico pratico l’aridocoltura, che significa non irrigare: in Salento abbiamo una piovosità tra i 400 e 600 mm. concentrata in autunno e primavera, poca acqua in estate e con 40° di temperatura l’umidità sale dal basso verso l’alto per capillarità. Il segreto è interrompere sistematicamente questa risalita con la sarchiatura dei terreni in primavera ed estate: si utilizza una lama orizzontale ad una profondità di 5 cm. ogni 10/15 giorni, così l’umidità rimane a disposizione delle piante.
Sul Negroamaro il biologico associato all’aridocoltura è un binomio molto importante perché significa avere piante sane e robuste e una maggiore concentrazione degli elementi negli acini, così il vino sarà il più concentrato e più naturale possibile. Quest’anno ho scoperto un nuovo elemento che mi aiuta, la zeolite cubana: si può miscelare con il rame diminuendone la quantità necessaria nel vigneto.
Il Negroamaro è un vitigno molto difficile, a differenza di un Syra, di un Merlot o di un Cabernet più resistenti all’oidio e alla peronospora: quindi avere questa possibilità di mantenerlo più sano mi rende proprio contento. E’ una pianta abbastanza generosa dal punto di vista produttivo ma ha un po’ di difetti: bisogna capirlo. Un Negroamaro perfetto deve avere un colore rosso rubino intenso, da giovane nei primi mesi dà la sensazione della concia del tabacco al naso, più avanti nella maturazione anche se invecchiato in acciaio tende a virare verso il cuoio: addirittura qualcuno confonde questa evoluzione come se fosse stato in legno. Poi un concetto fondamentale: solo nel Salento o giù di lì, attorno al 40° parallelo si può fare il Negroamaro. Perché fra le tante disgrazie di vivere qui abbiamo la fortuna di avere una intensità di luce e una quantità di irraggiamento che mi permette di raggiungere un grado di maturazione maggiore di quello che abbiamo più a nord: qui da noi lo Chardonney si adatta benissimo, ma il Negroamaro in Friuli non potrà mai funzionare“.
Qui le ippovie segnalate dal Touring Club Italiano