Ashgabat, maggio 2015 – Il Turkmenistan è un paese dell’Asia Centrale, ricco di gas e patria dei cavalli Celesti, gli Akhal-Teké: uno di questi leggendari soggetti figura addirittura al centro della bandiera turcomanna e il presidente in carica, Gurbanguly Berdymukhamedov, ama farsi vedere in sella ad un Akhal-Teké e anche correrci in pista al galoppo. Con molto successo, visto che le cronache locali non lesinano notizie sulle sue tante vittorie – di solito ottenute con larghissimo distacco dal secondo arrivato.
Pochi giorni fa ad Ashgabat è stato poi inaugurato un monumento equestre dedicato a Berdymukhamedov, perfettamente in linea con la politica del culto della personalità di quest’ultimo: il presidente è raffigurato in costume turcomanno, mentre in sella ad un Akhal-Teké indica gloriosamente il sole che per altro fa brillare senza troppa fatica l’opera, ricoperta in foglia d’oro a 24K; il tutto è poggiato su di un piedistallo in marmo bianco alto 20 metri.
Al di là di tutto l’Akhal-Teké è davvero un simbolo nazionale molto amato in questo paese: allevarlo è un modo per ribadire l’indipendenza dall’ex-impero sovietico (che ne aveva fatti macellare migliaia per farne bistecche e voleva sostituirli con i trattori nella vita e nel cuore dei turcmeni), ed effettivamente questo popolo ha ben ragione di essere orgoglioso dei suoi impareggiabili cavalli.
Originari dell’odierno Turkmenistan, territorio quasi per intero occupato dal deserto del Karakum e stretto tra mar Caspio, Kazakistan, Uzbekistan, Afghanistan e Iran gli Akhal-Teké sono considerati la più antica razza al mondo, addirittura tra i progenitori del moderno Purosangue Arabo perché è soprattutto da queste zone che arrivavano in Arabia i cavalli che, nel sesto secolo dopo Cristo, avrebbero generato l’Asil.
Questo lembo di Asia Centrale è sempre stata terra di conquista da parte di popoli strettamente legati al cavallo sia per necessità guerresche che per conseguente passione di vita: i Parti avevano la loro capitale, Nisa, a soli 10 km. da Ashgabat e il loro cavalli erano descritti come «…degni di Re potenti: di grande presenza, dai movimenti morbidi sotto il cavaliere, facili e obbedienti al morso, molto orgogliosi nel portamento della testa mentre la gloria del sole gioca con le loro criniere d’oro». Ai parti seguirono gli arabi, poi i mongoli e quindi i turcomanni: tutti guerrieri famosi per la loro abilità in sella.
Il nucleo fondamentale della razza è stato per secoli in mano ai Teké, una tribù di guerrieri Turkmeni il cui territorio comprendeva l’oasi di Akhal. I Teké erano un popolo libero, coraggioso e orgoglioso; per loro il cavallo valeva più delle mogli, dei figli o della loro stessa vita. Ogni yurta (la tenda delle popolazioni nomadi asiatiche) proteggeva uno o due di questi soggetti e alla nascita il puledro veniva tenuto in braccio per ore dal proprietario, il cui odore gli si fissava così nella memoria. L’uomo cresceva più che un semplice cavallo un vero amico, con il quale il legame era particolarmente forte ed esclusivo: il cavaliere dedicava al cavallo cure, tempo ed attenzioni e questi lo ripagava con tutta la sua dedizione. Si racconta di guerrieri morti in battaglia il cui destriero continuava a combattere il nemico vicino al cadavere del suo cavaliere, mordendo e calciando: e anche oggi l’Akhal-Teké è il cavallo di un solo padrone, con un carattere fiero e sensibile che non accetta chiunque voglia considerarlo suo per un semplice (e un po’ volgare) diritto di proprietà.
Perfettamente comprensibile quindi che nel padiglione del Turkmenistan ad Expo 2015 uno dei dettagli decorativi sia dedicato proprio a loro, i Celesti, e che il presidente Berdymukhamedov tenga tanto a farsi vedere con un Akhal-Teké: perché sono davvero bellissimi.
27 maggio 2015