Bologna, 21 dicembre 2019 – Come faccia un ex-marinaio a raccontare così bene di polvere e cavalli, non lo so.
Eppure Andrea B. Nardi ci riesce benissimo: sarà che è nato in una fattoria del Nord Africa, che forse non è poi così differente dal Far West.
Non c’è Ombra in South Dakota: ti tuffi dentro le pagine del suo libro e già da subito capisci che ci sa fare.
Perché dentro al titolo c’è tutto il sapore che ti rimarrà tra i denti fino alla fine, quella prateria eterna si infila dappertutto, come d’inverno i fiocchi di neve, per addestrarti all’idea che tutta la vita lì è una lotta sorda e tenace contro qualcosa.
Ma anche lì i bambini sanno essere bambini, anzi forse sono meno bambini i nostri a pensarci bene: perché non possono sentirsi davvero piccoli come ti ci fa sentire solo un cielo enorme, e chissà se è perché non ci si è mai sentiti davvero piccoli che poi si fa fatica a diventare grandi.
All’inizio del romanzo i protagonisti sono ancora tre ragazzini e il loro mondo è quello della Frontiera Americana alla fine del XIX secolo: esattamente lo sfondo ideale dove immaginarsi vivere cavalli e i cow-boys, e tutto raccontato in modo così plausibile, vero e credibile da farti pensare che Nardi lì ci sia stato sul serio.
Tra cani che sono angeli con le code e pony pezzati compagni di gioco, e paura e morte e vita che si srotola lontano e poi ritorna lì, in mezzo a quel mondo dove solo con un cavallo ti puoi sentire a posto, e anche partire quando la tua clessidra si sarà svuotata e tu dovrai girare pagina.
E poi tornare: che solo chi lascia qualcosa o qualcuno potrà avere la gioia di tornare, o ritrovarlo.
Non c’è ombra in South Dakota, di Andrea B. Nardi –I Robin&Sons, 2017 – pagine 288 € 15,00